Cinque anni dal sisma del 2016. Un cammino complicato, piccoli passi verso l’inizio della Ricostruzione?

Cinque anni lunghissimi da quel 24 agosto 2016, un giorno di fine estate che ha segnato e distrutto Arquata del Tronto nel versante ascolano, Accumoli e Amatrice in quello reatino.

Un anniversario triste che lascia spazio al ricordo delle vittime, ai loro familiari che sopravvivono a una perdita lacerante che non può rimarginare mai. Pescara del Tronto che ha pagato il suo tributo più alto, 51 vittime, una sofferenza silenziosa che non cesserà perché sono le persone che hanno perso la vita sotto quelle macerie, negli squarci di case fatte a brandelli, vivono dentro i familiari, i conoscenti, gli amici.
Intorno poi una distruzione e montagna di macerie che per anni hanno sostato sotto lo sguardo rassegnato della popolazione di queste zone. Sono stati cinque anni difficili, che hanno visto un susseguirsi di emergenze infinite, proroghe e nuove scadenze, soluzioni non adatte, promesse, tentativi subdoli di convincimento a mollare tutto, ad andare via. Dentro il caos di cinque anni post sisma, si è verificato un binomio quasi perfetto, tanti gli impegni, le parole date, le garanzie, i patti, così altrettante le speranze e le aspettative disattese. Ogni volta un bluff, ogni volta personalità calate dall’alto senza conoscenza del territorio e senza rispetto per un dramma che si stava vivendo sulla pelle giorno per giorno.

L’abbandono del paese che si è vissuto da sempre, lasciandosi dietro un cumulo di polvere e macerie, la convivenza e la nuova quotidianità in un albergo, costretti a mettere l’intera vita dentro una stanza, satura di paure e lacrime. E poi la luce in fondo al tunnel del ritorno a casa, le Sae, soluzioni abitative d’emergenza. Le chiamano casette di legno, ma non sono villette a schiera bensì casette che dovevano durare molto meno, anche poco adatte a territori di montagna. E poi chi aveva una “seconda casa”, sicuramente con un’abitazione sicura da un’altra parte, ma con il cuore un po’ più fragile per aver perso quel porto sicuro, la casa che possedeva all’interno la storia della propria famiglia.

Sae dopo Sae, anno dopo anno, chi ha deciso di rimanere lo ha fatto stringendo i denti e pensando all’amore puro per un territorio che gli appartiene da decenni. Non c’è stato rispetto per i comuni colpiti davvero dal sisma, questo è verificato e verificabile attraverso lo sguardo e il racconto di chiunque l’ha vissuto sulla propria pelle. Non si chiedevano miracoli, ma piccoli passi nella giusta direzione, prendere per mano questi luoghi e accompagnarli verso una nuova esistenza. Invece, l’unica sensazione è stata quella di voler completare l’opera di distruzione del sisma, che appartiene a un evento naturale, e distruggere e annullare completamente questi luoghi di montagna, poco attrattivi, poco popolati, poco importanti.

Questo metodo adottato non ha fatto i conti con chi ha tirato fuori gli artigli, con chi non solo è rimasto ma ha deciso di costruirsi un futuro in queste terre mutate, come le hanno chiamate i promotori del “Cammino nelle terre mutate”, che attraversano i sentieri di questo luogo, vivono le strutture ricettive e ristorative che sono ripartite, che ascoltano i racconti delle persone.

Sono rimasti i giovani allevatori che con le loro pecore e mucche hanno creato nuove aziende che parlano del territorio, sono rimasti Stefano Cappelli ed Elena Pascoli che hanno ideato il Rifugio Mezzi Litri e l’Associazione Monte Vector, l’idea di un turismo lento e inclusivo.

Sono rimasti, tornati, combattivi, presenti, veri paladini nel deserto anche nei momenti più persi di questi cinque anni, i volontari dell’Associazione Arquata Potest, che hanno spiegato al mondo che volere è potere, che rimboccarsi le maniche poi ti aiuta a riaprire tutti i sentieri di Arquata, a mantenere vive le tradizioni, ti aiuta a creare alleanze con chi fa turismo, chi fa allevamento, chi crede nel futuro ma senza guardarlo dall’uscio della porta. Rimboccarsi le maniche, sporcarsi le mani, macinare chilometri, tutto questo per il sogno di “vivere” per Arquata, sogno già messo in opera prima del sisma. Carlo, Francesca, Sante, Paolo, Andrea, e tantissimi  altri che sono diventati veri pionieri del fare.

Ci sono i bar e i ristoranti che hanno riaperto nonostante le strutture non siano edificanti, dietro al bancone nonostante tutto con gentilezza, a parlarti dei problemi, delle difficoltà, ma sono sempre lì e non riescono a mollare, non vogliono mollare e andarsene.

Ogni persona rimasta è una storia da raccontare, ogni famiglia che ha scelto deliberatamente di far crescere in questi luoghi i propri figli e ora si ritrovano quasi puniti da questa scelta per una decisione scellerata di creare una pluriclasse accorpando prima e seconda media. Anche qui genitori, istituzioni, le associazioni come Arquata Futura, tutti si stanno rivoltando verso qualcosa che vuole segnare come un declino, come un inizio di decadimento culturale e sociale.

C’è un sindaco facente funzioni, Michele Franchi, che è succeduto dopo la scomparsa di Aleandro Petrucci, altro combattente che ha sempre chiesto tempi certi e semplificazioni per far ripartire Arquata. Franchi che si è ritrovato a dover affrontare un post sisma, di certo non facile per chi è al primo mandato come vicesindaco e che ha cercato di far sentire la sua voce, in mezzo a milioni di altri voci. C’è Italo Paolini, il medico curante di Arquata che ha fatto sì che venisse creato un Poliambulatorio con tanti professionisti a servizio della popolazione.

Piccoli ingranaggi di una catena che ha lavorato per continuare a girare ininterrottamente.

Il sisma ha sfregiato Arquata del Tronto, ma le persone che si sono succedute a dover prestare rimedio al territorio, pensare a una qualche ricostruzione, a ideare una qualche progettualità, l’hanno disillusa, delusa e ingannata.

Ma le persone sono ancora lì, dopo cinque anni, stanche ma vive e desiderose di vivere ad Arquata, crederci in qualche modo. Poi, dopo quattro Commissari che hanno svolto un semplice lavoro d’ufficio, nei primi mesi del 2020 è stato nominato Commissario straordinario alla Ricostruzione del Centro Italia, Giovanni Legnini.

Una figura che sin da subito si è distinta, perché alle parole sono susseguiti sempre i fatti. Seppure in un contesto complicato, seppure sono ancora numerosi gli sforzi e gli ostacoli da affrontare, non si può non registrare un cambio di passo effettivo, un ascolto prima di tutto dei territori, un confronto diretto e immediato con i sindaci di questi Borghi distrutti. Legnini si è dimostrato attento, senza promettere. Prima si è impegnato ad arginare gli ostacoli, poi li ha comunicati alla popolazione. L’ultimo anno e mezzo ha riacceso un po’ di quella speranza, una leggera fiducia, quasi un fantasticare su una ricostruzione che appariva come miraggio, un’utopia. Legnini ha cercato di sburocratizzare, svincolare, velocizzare, semplificare, qualcosa si muove seppure sembra solo affiorare. È un destino affidato nelle mani giuste.

Proprio nella giornata di ieri, Legnini ha presentato il Rapporto Ricostruzione dell’ultimo anno e mezzo.

“I cantieri aperti nel Cratere sono 5500, – illustra il Commissario Legnini – gli interventi conclusi 5000, 12000unità abitative riconsegnate, 13000 in costruzione, 3300 i cantieri avviati quest’anno con 25 cantieri autorizzati e finanziati ogni giorno. Numerosi gli interventi pubblici con 900 chiese, quella pubblica è una ricostruzione più lenta ma da poco potrà avvalersi degli strumenti in deroga. Ad Arquata del Tronto è in corso l’iter di approvazione dei Piani Attuativi, e dopo la consultazione della popolazione l’amministrazione comunale ha definito le possibilità di delocalizzazione di una parte delle abitazioni della frazione di Pescara del Tronto, interamente distrutta. Nel comune di Arquata si sono registrati 294 edifici inagibili con danni lievi, per 60 dei quali è stata presentata la richiesta di contributo (20%), e 1.776 edifici con danni gravi, per i quali sono state presentate 122 domande (7%). Le richieste approvate sono 134 con la concessione di 62,4 milioni di euro di contributi, che pongono Arquata all’ottavo posto della graduatoria. I cantieri conclusi sono 48.”

Una squadra quella creata da Legnini che conta tante persone che lavorano a testa bassa, come Mario Sensini e Letizia Di Tommaso, occorre sottolineare la loro disponibilità, presenza sul territorio e banale dire come a domanda si ottenga sempre una risposta. Le persone fanno la differenza e l’ascolto per un territorio così ferito è fondamentale.

“Mantenere il ritmo” ha dichiarato Legnini, procedere, non fermarsi, migliorarsi. Solo così Arquata, come Amatrice, Accumoli e tutti i comuni interni del Maceratese, potranno tornare a vivere, a respirare sotto un tetto sicuro, a credere che la vita è bella.

 

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