Intervista a Marcello Filotei, autore di”L’ultima estate”, dedicato a Pescara del Tronto

Marcello Filotei, compositore, giornalista e critico musicale dell’Osservatore Romano è l’autore del libro “L’ultima estate, memorie di un mondo che non c’è più” dedicato a Pescara del Tronto, edito da Fas Editore.

C’è speranza nel libro di Marcello Filotei, quella sottile consapevolezza di un luogo che ha perso le case ma non deve permettere l’abbandono della sua storia. Sono le persone che creano la comunità, quella cornice che le teneva raccolte non esiste più, ma a tenere in vita l’anima dei paesi distrutti dal terremoto può essere solo la memoria collettiva.

Filotei non tratta la memoria come rifugio di tristezza o di paura, ma tende a raccontare le persone per evidenziare come, è la storia di ogni individuo che abitava quel luogo a delinearne l’intreccio collettivo. Se tutto quello che si è vissuto sarà tramandato, allora non si perderà la cultura di Pescara del Tronto e dei paesi di Arquata, distrutti dal sisma.

E’ un varco aperto al ricordo, quello di Marcello Filotei, che ci racconta in questa intervista.

Cos’era Pescara del Tronto, e Arquata in generale, per te e i tuoi cari?

“Pescara del Tronto era principalmente il luogo della spensieratezza, l’unico luogo al mondo dove si poteva essere se stessi senza sovrastrutture, senza lauree, senza ruoli. Anche perché non ti consentivano di essere diverso da te stesso, se il nonno di tuo nonno avesse venduto anche per caso un prosciutto, tu e tutti i tuoi discendenti sareste stati “i prosciuttari”. Questa era la cosa fondamentale, l’autenticità dei rapporti.”

Come racconteresti il terremoto, a chi non l’ha vissuto?

“Il terremoto è principalmente un tradimento, del luogo amato nei tuoi confronti. Molto più forte di quello di una persona. Il luogo dove avevi riposto tutte le tue aspettative, i tuoi progetti per il futuro, che avevi evocato in ogni lite con la famiglia, dicendo “mi prendo due pecore e me ne torno al paese”, anche se non avevi mai avuto a che fare con una pecora. Fondamentalmente, è stato il più grande tradimento che si possa ipotizzare.”

Credi che a causa del terremoto, che ha distrutto ad Arquata quasi la totalità delle case, possa aver al contrario unito la comunità, residenti e non?

“La comunità non è stata unita, come avrebbe potuto. Sono rimaste le spaccature che c’erano, solo che adesso non ci sono più i motivi per essere divisi, non ci sono più le cose da rivendicare. È rimasta una mentalità, ma l’unico modo per superare questa situazione è quello di creare una comunità. Come scrivo nel libro“Quando le tegole del palazzo del vicino arrivano alla cucina di casa tua, ti stanno dicendo che siamo tutti sotto lo stesso tetto”. Da questo evento, se ne esce tutti insieme, altrimenti diventa insuperabile.”

“L’ultima estate” è stato un atto terapeutico, un tributo alla memoria, un riscatto di un territorio che prima del sisma non vedeva riconosciuto il suo valore?

“L’ultima estate è un atto terapeutico, perché ho sentito la necessità di scrivere quello che era successo, e che non riuscivo a dire. Di solito lo faccio con la musica. In quel momento, avevo bisogno di farlo con le parole. Ma è anche un tributo alla memoria di quei luoghi. Non delle case, non dei posti. Il mio paese erano le persone che ci vivevano, e quelle persone hanno diritto alla memoria. Io ho il diritto di ricordarmele, di non dimenticarle. È il contrario del diritto all’oblìo.”

Perché hai scelto di scrivere quest’opera e qual è il tuo obiettivo?

“Scrivere questo libro è stato un atto naturale, non con un obiettivo preciso. Poi però mi sono accorto che c’era bisogno di qualcuno che raccontasse quello che non c’è più, le memorie di un mondo svanito in meno di tre minuti. C’era bisogno e quindi il libro è diventato momento di unione, di comunità. Portare a una sintesi, tra chi è ancora lì, chi non c’è più, chi si è spostato altrove. Non so se le mie parole riusciranno a rimettere tutto insieme, forse no, però forse stanno aprendo un varco nella memoria, l’unica cosa che abbiamo in comune.”

Credi che Arquata rinascerà? Come pensi che la sua memoria storica, architettonica, artistica possa essere salvaguardata?

“La salvaguardia di quei luoghi appartiene alle autorità. Quello che c’era, ovvero i rapporti tra le persone, difficilmente potrà tornare com’era. Però bisogna salvaguardare quello che c’è stato tramandato dalla storia e creare delle basi, perché in un futuro lontano si possa provare a ristabilire un rapporto autentico tra le persone, non mediato da interessi spiccioli. È l’unica speranza, altrimenti neanche parlarne o scriverne avrebbe senso.”

Nel pomeriggio di oggi, alle ore 17.30, l’autore Marcello Filotei sarà ospite a Radio3 Rai all’interno della trasmissione “Fahrenheit” per parlare del suo libro “L’ultima estate, memorie di un mondo che non c’è piu”.

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