Paolo Del Debbio a San Benedetto per gli “Incontri con l’Autore: presenterà il libro “Cosa rischiano i nostri figli” domenica 1 dicembre all’Auditorium Comunale “Tebaldini”

SAN BENEDETTO, Cosa rischiano i nostri figli? Se ne parlerà domenica 1 dicembre, alle ore 10,45, all’Auditorium Comunale “Tebaldini”, con il giornalista e conduttore televisivo Paolo Del Debbio, nell’ambito dell’edizione invernale degli “Incontri con l’Autore”. La nuova opera di Del Debbio racconta l’incertezza di una generazione, nell’epoca dell’incertezza, tra i giovani serpeggia un grande malessere, mascherato da benessere.

L’evento è organizzato dall’associazione “I Luoghi della Scrittura”, con il patrocinio ed il sostegno dell’Amministrazione comunale e della Regione Marche.

Conversa con lo scrittore il giornalista del Corriere Adriatico, Roberto Rotili.

Paolo Del Debbio è nato a Lucca nel 1958, è giornalista, conduttore televisivo e docente universitario. Laureato in filosofia, nel 1988 entra in Fininvest come assistente dell’ad Fedele Confalonieri. Dal 2006 è conduttore televisivo sulle reti Mediaset, prima del programma “Secondo voi”, poi di Mattino 5 (con Federica Panicucci), Quinta colonna e, dal marzo 2019, a Diritto e rovescio. È autore di varie opere, tra le quali Elogio dello Stato a pendolo. Stato e mercato nel XXI secolo (2009) e L’etica fiscale ed economica di EzioVanoni (2019). Insegna Etica ed Economia allo IULM di Milano.

IL LIBRO
La nuova opera di Del Debbio, dunque, racconta l’incertezza di una generazione, nell’epoca dell’incertezza, tra i giovani serpeggia un grande malessere, mascherato da benessere. Un segnale chiarissimo è la dipendenza digitale: l’abuso dello smartphone può portare a disturbi del sonno, a stati di panico e di ansia, a isolarsi dagli amici, dalla famiglia e da ogni attività sociale o sportiva. Una vera e propria malattia che in Italia coinvolge ormai un adolescente su dieci. Paolo Del Debbio ci invita ad aprire gli occhi.
Racconta le storie di ragazzi la cui esistenza virtuale è arrivata a confondersi con quella reale e ci insegna a riconoscere i campanelli d’allarme della dipendenza.
Anche senza contare i casi patologici, troppo spesso la vita dei “nativi digitali” è tanto ricca di stimoli social quanto apatica, priva di slanci e di interessi reali: un viaggio senza meta e senza bussola. Precarietà del lavoro e mancata indipendenza economica si sommano alla crisi di valori fondanti come quelli cristiani o delle grandi ideologie politiche. E se la Rete finisce per sostituire le tradizionali fonti di approvvigionamento culturale e sociale, il rischio più grande è quello di allevare generazioni deboli nelle capacità di scelta, privata e pubblica.
Non è un fenomeno inesorabile, ma i divieti e i rimproveri non servono a contrastarlo. Dobbiamo invece sforzarci di far immergere i nostri figli nella vita vera, perché crescano a contatto con la strada, la natura e la gente in carne e ossa, non con le foto “filtrate” su Instagram; perché sentano la pelle d’oca dell’empatia profonda, non le emozioni artefatte dei social network. Più liti vere e più riappacificazioni vere, più amori folgoranti, più successi e più smacchi. Una volta provata la bellezza della vita, persino le sue inevitabili asperità la renderanno preferibile alla sua copia virtuale, povera e sbiadita.

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