Ecco qual è il percorso amministrativo e giuridico per aprire una piccola realtà imprenditoriale negli Usa pur non trasferendo la propria residenza.
Negli ultimi decenni, quando si esamina il quadro industriale del Paese, non si sente che parlare di delocalizzazioni: decentralizzazioni di stabilimenti e fabbriche, prima in aree territoriali più convenienti (oltre che meglio strategiche) e poi, dulcis in fundo, con la sentenza definitiva di trasferire tutto quanto, attrezzature e capacità (ma non i lavoratori) all’estero.
In termini molto schietti si direbbe: è la globalizzazione del capitalismo. Sono standard, nessuna sorpresa: non può sorprendere se a partire dai consigli di amministrazione di molte aziende del Belpaese, il tavolo è diviso con soggetti tutt’altro che italofoni e con aziende partecipate (se non multinazionali) dalle bandiere multicolori (quando ce l’hanno). La burocrazia tricolore, certo, deve fare ancora molti passi in avanti per snellirsi e apparire irrinunciabile da parte di capitali esteri.
Coronare il sogno americano, non occorre sempre la partita iva
Si tratta dunque di rendere “appetibile” il territorio, facendo sentire altresì il peso della responsabilità nei confronti della comunità (anche dei dipendenti) che ruota attorno alla realtà economica. La svolta “global” dell’industria ha invece acceso gli appetiti di talune gigantesche aziende e holding, alla ricerca di lavoratori sempre meno costosi. E non si discute soltanto del costo del salariato nei confronti dello Stato.
Mentre oggi però piccoli imprenditori cercano di sopravvivere trovando ulteriori orizzonti di vita (magari verso l’oriente, nelle albe cinesi), poiché il peso delle tasse lascia poco spazio agli investimenti, in passato, anzi sin dall’Ottocento gli italiani hanno attraversato gli oceani per costruire il cosiddetto “futuro migliore”.
Gli Stati Uniti continuano a rappresentare ancora oggi il paradigma della migrazione e gli italiani ne hanno sempre saputo più di altri nel mettere le radici sul suolo americano. Taluni compatrioti dalle origini meridionali hanno incarnato l’apprezzata icona del self-made man; ma le successive generazioni hanno difficilmente rinunciato ai traguardi conquistati per amor di patria dell’antenato.
Vari connazionali, però, tentano ogni anno di metter su una piccola impresa negli Usa pur senza trasferire la propria residenza. La tentazione è forte di fronte al vantaggio di esporsi ad un bacino di consumatori vastissimo. I settori di maggior rilevanza sono: e-commerce; servizi di pulizia; ristorazione; servizi di consulenza legale, fiscale e finanziaria; produzione di contenuti digitali.
Per aprire un profilo giuridico non occorre né cittadinanza né la residenza sul territorio americano; è fondamentale, se si prevede una costante presenza fisica, con presenza di magazzini, affitti di uffici, assunzione di personale statunitense. Ma non è detto che sia necessaria l’apertura dell’EIN (Employment Authorization Number), l’omologa Usa della partita iva.
Occorre valutare diverse variabili in termini di flessibilità dell’impresa da giustifica o meno un conto corrente americano, o al contrario, passare per la fiscalità internazionale. A seconda del tipo di società, per aprire l’azienda bastano tra i 40 e i 1.000 dollari di spese per la registrazione.