La Diocesi di Ascoli Piceno divulga il messaggio del Vescovo Domenico Pompili al mondo della scuola, che avrà inizio da domani nelle Marche.
“La riapertura di tutte le scuole di ogni ordine e grado avviene in un momento in cui si spera che il Covid-19 rallenti la sua corsa e cessino quell’isolamento e quella solitudine che ognuno ha sperimentato e vissuto secondo la sua indole e le sue inclinazioni negli anni passati.
Per tutti, comunque, è stata un’esperienza inedita e l’impatto sulla scuola, e più in generale sull’educazione, è stato drammatico. La pandemia ha reso evidente l’interdipendenza planetaria, sottolineando i limiti e le fragilità, ma anche offerto una preziosa occasione per riflettere sulle opportunità che derivano da questa interconnessione per lo sviluppo delle comunità e la protezione della nostra casa comune.
Ha ben detto papa Francesco: “Oggi ci è richiesta la parresìa necessaria per andare oltre visioni estrinsecistiche dei processi educativi, per superare le semplificazioni eccessive appiattite sull’utilità, sul risultato (standardizzato), sulla funzionalità e sulla burocrazia che confondono educazione con istruzione e finiscono per atomizzare le nostre culture; piuttosto ci è chiesto di proseguire una cultura integrale, partecipativa e poliedrica. Ci serve il coraggio di generare processi che assumono consapevolmente la frammentazione esistente e le contrapposizioni che di fatto portiamo con noi; il coraggio di ricreare il tessuto di relazioni in favore di un’umanità capace di parlare la lingua della fraternità. Il valore delle nostre pratiche educative non sarà misurato semplicemente dal superamento di prove standardizzate, bensì dalla capacità di incidere sul cuore di una società e di dar vita a una nuova cultura. Un mondo diverso è possibile e chiede che impariamo a costruirlo, e questo coinvolge tutta la nostra umanità, sia personale che comunitaria”.
Si spera ora che alla didattica a distanza e a quella integrata (parte in presenza e parte a distanza) vi sia il rientro stabile in classe. Certo, come ci ricorda Alessandro D’Avenia, “gli studenti associano spesso l’inizio della scuola a sentimenti di noia e paura, esiziali per l’apprendimento, che s’innesca invece solo grazie a stupore e curiosità”. Allora gli insegnanti devono essere veri testimoni e far capire che lo studio rende sempre più liberi e felici. Sì, perché insegnare è una missione d’amore ed imparare fa crescere la consapevolezza di sé, rende capaci di confrontarsi con la realtà e con gli altri.
Inoltre c’è bisogno di una didattica fortemente inclusiva, che riduca le differenze, che motivi e coinvolga sempre più nei percorsi di apprendimento. Si spera che il futuro sia promettente e che al centro del rapporto educativo si ponga sempre l’incontro con le persone; un incontro non fine a se stesso, ma teso sempre a promuovere la libertà responsabile di ciascuno, per favorire un progetto di scuola inclusiva e aperta a tutti.
Come non ricordare don Milani che nel suo “Testamento” annota: “Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.