Con una interessante inchiesta il Corriere della Sera ha puntato l’indice sulla burocrazia che sta bloccando la ricostruzione dopo il terremoto di due anni fa.
A due anni dal terremoto nell’Appennino centrale – è riportato sul quotidiano di oggi – sembra che si muova solo la terra. Le scosse, anche se ormai meno intense, proseguono: nelle Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, a partire da agosto del 2016, l’Ingv ne ha contate più di 92 mila. Tutto il resto è fermo. La ricostruzione non decolla, e nonostante ci siano abbondanti risorse stanziate, finora è stato riparato solo lo 0,5% delle case distrutte. La popolazione nei 138 comuni del cratere, dove già vivevano in prevalenza anziani, diminuisce rapidamente, e se ne vanno anche gli immigrati regolari. Al 14 novembre scorso la Protezione civile contava ancora 47.403 persone fuori casa. Gli sfollati che ricevono il Contributo di autonoma sistemazione, una cifra variabile da 200 a 800 euro a seconda del nucleo familiare, sono 37.755. Altri 1.686 sfollati sono ancora ospitati nelle strutture alberghiere della costa abruzzese e marchigiana, mentre 7.962 persone vivono nelle 1.800 Sae, le Soluzioni abitative di emergenza, allestite nel corso di questi due anni (alcune delle quali sono già ammuffite)
Lo stato della ricostruzione
Da agosto del 2016, nelle quattro regioni, sono state effettuate ben 220 mila verifiche dai tecnici della Protezione civile e dei Comuni. Le abitazioni risultate inagibili, alla fine, sono 77 mila, 43 mila solo nelle Marche, la regione più colpita, la maggior parte delle quali con danni pesanti. Nonostante la prima ordinanza per la ricostruzione delle case con i fondi pubblici sia stata emanata pochi mesi dopo il sisma, i cantieri sono praticamente fermi. Nelle quattro regioni, secondo la relazione presentata a ottobre al Parlamento dal commissario uscente, Paola De Micheli, sono state presentate agli Uffici speciali della ricostruzione circa 7.500 domande di contributo, il 10% di quelle attese.
Gran parte di queste pratiche è in attesa di essere esaminata o in istruttoria. Le domande approvate in questi due anni sono appena 1.400, comprese quelle per la delocalizzazione delle attività produttive. Per quanto riguarda le case, i cantieri aperti oggi sono circa 800, l’1%, mentre quelle già riparate sono appena 350, lo 0,5% del totale.
Le cause del ritardo sono diverse. Le continue modifiche alla normativa sulla ricostruzione indotte dalle ordinanze, o dai nuovi decreti del governo; l’estrema complicazione delle procedure per presentare le domande di contributo, che in media impiegano quasi un anno; il personale insufficiente degli Uffici speciali per la ricostruzione, che con queste dotazioni e ai ritmi attuali impiegherebbe alcuni secoli per esaminare tutte le domande attese.
A complicare tutto c’è poi il problema delle difformità, presenti in molte case da riparare coi fondi pubblici. La sanatoria contenuta nel decreto Genova, con la deroga alla doppia conformità, dovrebbe risolvere almeno questo problema.
Spesi 2 miliardi su 15
Il plafond dei fondi per la ricostruzione privata, gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, stanziato dalla Legge di Bilancio del 2017, è di 13 miliardi di euro. Di questa somma, ad oggi, sono stati impegnati appena 293 milioni di euro. Non va meglio nella ricostruzione pubblica. Per il triennio 2017-2019 c’erano a disposizione 1,9 miliardi di euro, ma una parte di questa somma deve ancora essere spesa.
Ci sono ritardi anche nel piano straordinario di ricostruzione ex novo delle scuole più danneggiate nel cratere. A San Ginesio, per esempio, la ricostruzione del polo scolastico, tra i primi a essere finanziata e addirittura avviata con la posa della prima pietra, si è bloccata perché, dopo due anni, è saltato fuori un vincolo storico artistico apparentemente insuperabile.
Tra ricostruzione pubblica e privata, dunque, ci sono 15 miliardi di euro di fondi pubblici a disposizione, anche se finora ne sono stati spesi appena un paio. Ciò nonostante, le risorse nel cratere arrivano col contagocce. Il pagamento del Cas, ad esempio, è in arretrato da agosto. Molti comuni non rendicontano i fondi e a Roma hanno chiuso il rubinetto, riaprendolo solo parzialmente poche settimane fa.
Lo spopolamento
Gli sfollati non ritornano, e molti degli abitanti che sono rimasti nei comuni colpiti dal sisma, cominciano ad andarsene. Nell’ultimo anno, nelle aree più montane del cratere sismico, la popolazione residente, in gran parte anziana, è scesa di 3 mila unità. Diminuiva anche prima, ma non a questi ritmi: è come se negli ultimi dodici mesi, nel cratere, fosse sparito un comune grande come Sarnano. Se ne vanno pure i rumeni, gli albanesi e i kosovari, immigrati regolari impiegati come badanti, operai e pastori. L’anno scorso, nelle zone colpite dal sisma, c’è stato un calo del 12% degli stranieri con regolare permesso di soggiorno.