Conservare contanti in casa non è una buona idea: oltre al pericolo dei furti rischi il controllo del Fisco

Se siamo soliti tenere in casa un cospicuo ammontare di liquidità, rischiamo l’accusa di evasione fiscale? Scopriamo cosa dice la Legge in proposito.

Custodire liquidità tra le mura di casa, soprattutto quando in quantità cospicua, è diventata un’abitudine sempre meno diffusa. Tuttavia, sono ancora numerose le persone che preferiscono farlo, attraverso una cassaforte, oppure nicchie sotto chiave protette e, a volte, video-sorvegliate e monitorabili da remoto, se non quand’anche attraverso il buon vecchio sistema del materasso.

Contanti conservati in casa, cosa si rischia
Contanti conservati in casa, cosa si rischia – ascoli.cityrumors.it

Tuttavia i rischi, lo sappiamo, ci sono: tanto che si viva in città quanto – e soprattutto – in piccoli paesini, innanzitutto si viene a sapere; dunque il rischio di intrusioni furtive in casa alla ricerca del “bottino” è tutt’altro che da sottovalutare. Ma non solo: cosa ne pensa il Fisco? In caso di controlli, rischiamo l’accusa di evasione? E quando questi controlli possono essere effettuati legittimamente?

Ebbene, è importante essere al corrente di ciò che dice la legge a riguardo. Dunque cominciamo da un principio: custodire i propri risparmi in casa non è illegale. E non c’è un limite fissato dalla legge per il contante. Tuttavia, è essenziale essere in grado di motivare e di poter dimostrare la provenienza legittima della liquidità, in modo da non dare adito a dubbi sulla natura potenzialmente indebita ed illecita dell’accumulo trattenuto alle autorità preposte che dovessero effettuare controlli. 

Quando e come possono essere effettuati controlli e la presunzione di ricavi in nero

Perché la Polizia oppure la Guardia di Finanza dovrebbero venire a frugare in casa nostra? Ebbene, sono circostanze “limite”, piuttosto estreme, ma che possono capitare in due casi specifici.

Cosa rischiamo nei confronti del Fisco se teniamo molti contanti in casa: ecco cosa dice la Legge
La presunzione di ricavi in nero ricade sulla liquidità di cui non si riesca a provare la provenienza – Ascoli.CityRumors.it

Il primo, quando un giudice o un pubblico ministero lo abbiano autorizzato; il secondo, quando sussistano fondati motivi di ritenere che sia in corso un reato, o che il corpo del reato o elementi ad esso pertinenti si trovino nella casa da ispezionare e non ci sia tempo utile per attendere il mandato del giudice.

Dunque, a meno che non sussistano sospetti gravi, la perquisizione non avviene. Tuttavia, quando la perquisizione in casa viene effettuata e le autorità scoprono la liquidità, è quasi automatico che si proceda per successive indagini di accertamento della sua provenienza attraverso la Procura della Repubblica competente e l’Agenzia delle Entrate.

Non si incorre in problemi però se esiste prova scritta della loro provenienza, ad esempio perché sono stati prelevati dalla banca, oppure frutto di un risarcimento, o ancora di una donazione o di una vincita, ed è possibile dimostrare la corrispondenza tra quanto dichiarato al Fisco e quanto rinvenuto.

Inoltre, esiste la presunzione di ricavi in nero: essendo oggi i pagamenti effettuati prevalentemente in modalità tracciabile e vigendo un limite al pagamento in contanti, tutto ciò che non risulta risalire alla propria attività lavorativa viene presunto come guadagno in nero, quindi illecito. Dunque anche in questo caso è essenziale poter dimostrare come si sia giunti in possesso del danaro in modo del tutto legittimo e dovuto.

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