Il lavoratore può registrare il mobbing come mezzo di prova? Ecco cosa dice la legge italiana e come difendersi in caso di abusi.
Il mobbing è uno dei problemi più diffusi sul luogo del lavoro e causa un danno psicologico a chi lo subisce. In Italia non c’è una specifica normativa che lo punisce, ma può rientrare nel reato di ”maltrattamenti in famiglia”. Per sporgere denuncia, bisogna avere prove riguardo gli abusi sul posto di lavoro, poiché – trattandosi di violenze prevalentemente psicologiche – non è facile dimostrare di aver vissuto degli episodi.
Questi abusi sono simili al bullismo e si basano su atteggiamenti prevaricatori e di scherno da parte di colleghi o, addirittura, superiori. Molto spesso il lavoratore vessato tende a lasciare il lavoro e, dunque, subire un grosso danno economico e morale. Ciò perché è difficile dimostrare di aver subito mobbing. Ma come fare per provare di essere vittime? È possibile filmare gli atteggiamenti vessatori?
Si può registrare il mobbing? Cosa dice la legge
Il mobbing è molto insidioso e spesso, in quanto violenza psicologica, è difficile dimostrarlo. Per questo motivo ci si chiede se si possano registrare gli abusi senza violare la legge. Ad esempio, utilizzando una telecamera nascosta per filmare i comportamenti vessatori, come prova per testimoniare le violenze psicologiche a danno del lavoratore. Sul punto, si è già pronunciata la Corte di Cassazione.
La realizzazione di video per provare il mobbing da parte dei colleghi di lavoro non è reato e, dunque, non è necessario il consenso per girare le immagini, in quanto si fa a fini difensivi. Queste “intercettazioni”, quindi, possono avvenire di nascosto, ma solo ai fini giudiziari. Infatti, è possibile registrare o videoregistrare una conversazione tra presenti a loro insaputa anche se si tratta di superiori o del datore di lavoro, se ciò serve come una prova.
Il dipendente, grazie alle testimonianze, può ottenere il risarcimento dal mobbing oppure farsi pagare stipendi o straordinari e via dicendo dimostrando, attraverso i filmati, che ha subito un trattamento ingiusto. Non è ammessa soltanto la diffusione dei dati personali (per via di registrazioni) come mezzo di autodifesa e ripicca. Ad esempio, se le si diffonde via chat, mostrandole a terzi, per vendicarsi dei propri colleghi “bulli”. In questo caso, il lavoratore che ha condiviso i video rischia grosso, fino ad una denuncia per diffamazione.