Una quarantena obbligatoria quella legata al Coronavirus, che ad Arquata del Tronto prende la forma di una SAE, soluzione abitativa d’emergenza, termine quest’ultimo che non abbandona la popolazione da quasi quattro anni. Le Sae hanno una metratura di 40, 60 o 80 metri quadrati, a seconda del nucleo familiare, e le difficoltà si intrecciano a quelle del post sisma.
Lara Angelini vive nel villaggio Sae di Borgo 1, insieme a suo marito e alla figlia Ilenia.
“Diciamo che vedere cosa sta succedendo altrove ci da più motivazione a sopportare le privazioni a cui siamo costretti – ci racconta Lara – le attività di mio marito e mia figlia a causa del Covid sono state sospese e quindi loro sono a casa. Io lavoro in un’azienda alimentare e fortunatamente continuo ad andare, ma a giorni alterni per contingentare le presenze in ufficio, dato che ancora siamo in un piccolo locale provvisorio a causa del sisma – spiega Lara, che lavora presso il Salumificio Sano nel comune di Accumoli, nell’ufficio amministrativo.
“Si vive molto in apprensione, ho una sorella che vive e lavora vicino Milano e i miei genitori lontani e soli ancora dislocati a San Benedetto del Tronto, in attesa di rientrare ad Arquata.”
Nelle aree Sae cercano di seguire una misura di autotutela, al fine di scongiurare un possibile contagio da Covid.
“Sinceramente non sono d’accordo su un effetto domino maggiore tra gli abitanti delle Sae piuttosto che in altri luoghi “non di emergenza” similmente affollati. Le Sae hanno per lo meno tutte le entrate indipendenti e gli accessi pedonali sono abbastanza spaziosi. Credo ci sia meno possibilità di contagio che vivere in un condominio con un corrimano sulle scale o l’ascensore o la porta d’ingresso comune. Sento ripetere spesso e si percepisce la convinzione, che se ci fosse un caso di contagio lo prenderebbero tutti. E questo non vorrei portasse a sminuire la dovuta attenzione al distanziamento e a provocare il vero effetto domino.
La difficoltà invece sarebbe gestire un contagio in una Sae, sono troppo piccole e non funzionali per potersi eventualmente isolare dal resto della famiglia.”
Ad Arquata, l’emergenza è doppia e viverla in una Sae è sicuramente più doloroso soprattutto per la popolazione anziana. Poter continuare a lavorare aiuta, ma chiaramente non rappresenta la “normalità” – come ci racconta Lara Angelini.
“Sai lo sconforto è davvero grande ed è difficile per tutti, soprattutto per le persone anziane che non immagino quanto possano ora sentirsi ancora più sole, in una casa dove non hanno le loro cose e nemmeno i loro ricordi. Andare al lavoro aiuta tantissimo ma non ho la sensazione della quotidianità, anzi in ogni emergenza si entra sempre in una dimensione diversa nel modo di lavorare e nel modo di affrontarlo.
Non appena ho capito che i contagi si stavano diffondendo al nord così velocemente, mi sono detta No, forse un’altra emergenza non riesco ad affrontarla. E’ tutto così surreale, siamo passati dal terrore ancora vivo del terremoto, al terrore del virus.”
“Abbiamo ancora macerie, case diroccate, strade chiuse, paesi abbandonati, zone rosse nella zona rossa, ci ritroviamo a dover esibire di nuovo Certificazioni invece delle Autorizzazioni – continua Lara – Il posto in cui tenacemente siamo voluti restare ora ci tiene prigionieri. Per sdrammatizzare ti dico anche che siamo passati dal gruppo Whatsapp “quelli delle Tende ” a “quelli dell’Albergo” a “quelli del Coronavirus“.
Poi, davanti alle difficoltà che si incontrano, tra il post sisma e il Covid19, quello che spinge le persone a sentirsi meno sole sono i piccoli gesti, la gentilezza, la socialità.
“Abbiamo il parroco che ci manda preghiere e collegamenti su Whatsapp, la parrucchiera che ci procura il colore per capelli, il medico che in caso di necessità ci monitora costantemente, i ragazzi della Pro Loco che ci portano la Palma a casa, la banca blindata ma che ti passa i documenti sotto la porta pur di risolvere, il vicino che con un sorriso ti chiede “come va”, il negoziante che ti procura la tua cialda di caffè specifica, e quindi non ci lamentiamo perché sappiamo che c’è chi sta vivendo tragedie più grandi.
Tutto questo sicuramente passerà, ma per noi sarà molto dura perché sarà ricominciare ancora una volta una vita che già era abbastanza lontana da quello che si può chiamare normalità e la parola ricostruzione sarà un miraggio ancor più lontano.