Il Sindaco di Maltignano, Armando Falcioni è intervenuto in merito all’ipotesi di accorpamento di alcuni comuni limitrofi ad Ascoli per risolvere il problema dello spopolamento e del calo demografico nell’entroterra Piceno.
“Ho letto, attraverso un quotidiano locale – ha dichiarato il primo cittadino di Maltignano – una statistica completa, attenta e minuziosa, del preoccupante calo di residenti da parte di molti comuni piceni a favore di quelli della costa. Tra questi, oltre il capoluogo, anche il comune da me amministrato, a dimostrazione come i territori colpiti dal sisma, e Maltignano è uno di quelli dove il terremoto ha picchiato durissimo tanto che abbiamo ancora una sessantina di nuclei familiari fuori comune, quasi il 10 % della popolazione censita, stanno ora patendo in fatto di incidenza demografica.
Ed ecco che parimenti alla statistica riemergerebbe la possibilità, o la necessità, dell’accorpamento ad Ascoli Piceno dei comuni limitrofi al fine di avere un comune, quale capoluogo di provincia, numericamente importante con la rilevanza politica che ne consegue.
Premetto che Ascoli è la mia città natale, ci sono vissuto e cresciuto fino ad una certa età, sono innamorato, come tanti, di essa, dei suoi simulacri, dei suoi rituali, vorrei essere il primo che vorrebbe trasformarla da scrigno nascosto dalle sue ataviche cerimonie a teca di cristallo da mostrare al mondo, anche attraverso un maggior prestigio amministrativo.
Ma da Sindaco di un piccolo comune, seppur infarcito anche di ascolani di origine e a 12 km dal capoluogo e naturalmente indirizzato verso di esso per quotidiani rapporti socio economici, già all’epoca del diunviro romano Publio Maltino Basso e della donazione di Carlo Magno che ne fece una baronia capitolare, debbo ribattere, non solo per dovere istituzionale e per coerenza, che il mantenimento delle municipalità, e l’identificazione di essa, è fondamentale per un motivo principale: la vigilanza del territorio attraverso il senso di comunità che l’appartenenza ad un comune può generare.
È oramai esercizio vano la motivazione dei famosi risparmi sui costi della politica, utilizzato solo come specchietto per le allodole, dimenticando che l’indennità mensile di un sindaco di un piccolo comune è ridotto a qualche centinaia di euro al mese, a seconda del numero di abitanti, con tutte le responsabilità a suo carico oltre all’impegno personale, di un assessore il 15 % di quello del sindaco ( non arriva a cento Euro) , di un consigliere 10 euro (dieci, non è un errore di stampa), tutto pari a circa e poco più dello 0,5 % del bilancio comunale con la corrispondenza di avere amministratori che al costo di un volontariato quasi puro si spendono quotidianamente sul e per territorio.
Il risultato – ha proseguito Armando Falcioni – è che se abbiamo un abbandono di rifiuti sul greto di un fiume lo sappiamo dopo un’ora, se fossimo frazione di un comune limitrofo forse dopo qualche giorno, se lo fossimo di una grande città probabilmente dopo un mese. Così come l’eventuale situazione di disagio sociale o scolastico, che sono oramai la prima emergenza tanto che l’assistente sociale, in un piccolo comune, è divenuto prioritario più di un operaio o di un vigile. Lo stesso dicasi per problemi di ordine pubblico, frequentazioni o migrazioni da altro comune sospette e potremmo andare oltre per non tacere che un amministratore locale, facilmente reperibile, può diventare all’uopo il primo confidente o l’ultima spalla su cui piangere.
Ecco perché smantellare l’ossatura della nostra amatissima nazione accorpando i comuni, svilendo l’identità dei municipi, sarebbe un grave danno ad essi, ora che la tendenza delle urbanizzazioni sta creando delle moltitudini indefinite invece di comunità, queste con radici, tradizioni, storie ben note ed identificabili.
Si capisce che, quindi, non è la motivazione della poltrona, non è la carica onorifica, non è sposare il vecchio adagio degli antichi che recitava “meglio primo in un villaggio che secondo a Roma” che giustificherebbe il mantenimento delle identità comunali piccole. Più producente, secondo me, nel caso di Ascoli Piceno e del suo circondario, è fare rete per creare una grande area metropolitana omogenea per i servizi, strizzando l’occhio, perché no, anche alla familiare Val Vibrata, al fine di non farla diventare come lo sono divenute alcune cittadine (solo a titolo di esempio per assonanza con Ascoli) che da prestigiosi e potenti liberi comuni che dominarono questa parte di l’Italia centrale si sono trasformate ora in piccoli musei a cielo aperto.
Per ultimo – ha concluso il Sindaco di Maltignano – vorrei fare una ulteriore valutazione sullo spopolamento di Ascoli e del suo circondario. Liberandomi da polemiche o inutili dietrologie la oramai dimenticata divisione della provincia demolì a suo tempo la prima grande industria di questo lembo di piceno, ovvero i servizi amministrativi ed impiegatizi. Con il ridimensionamento conseguente degli uffici statali a valenza provinciale (Comandi delle forze dell’ordine, sindacati, ordini professionali, uffici dello stato amministrazione provinciale, prefettura e così via) è iniziato un depauperamento di personale che non vive più ad Ascoli, Maltignano, Folignano, Venarotta, Castel di Lama e così via, e di cui ora stiamo segnando gli effetti.
Peccato che allora a protestare a Montecitorio, da parte ascolana, mi ritrovai insieme a quattro gatti.
Essere cattivo profeta qualche volta viene equivocato a malefica Cassandra ma, parafrasando Andreotti, qualche volta ci si azzecca…”