L’aver avviato e concluso a livello nazionale tra tutte le parti sociali, datoriali e sindacali, un percorso che ha garantito la riapertura delle aziende in sicurezza, iniziato con la sottoscrizione del protocollo del 14 marzo, proseguito con l’integrazione del 24 aprile e il recepimento nel DPCM del 26 aprile, non può essere sminuito a livello regionale con una richiesta di ulteriori verifiche e controlli da parte dei sindacati.
Per questo siamo completamente d’accordo con il presidente regionale Claudio Schiavoni – dichiara Simone Mariani di Confindustria Centro Adriatico – e dispiace che la Regione Marche abbia prestato il fianco a questa richiesta, come anche che le altre sigle non abbiano ravvisato in questa procedura un’ulteriore ed inutile burocrazia per le aziende.
L’analisi che i sindacati fanno nell’ambito delle richieste di infortunio INAIL, che già di per sé avrebbero dovuto riguardare solo gli ambiti dove il rischio è strettamente connesso al trattamento del virus (personale sanitario, ecc.), non tengono conto del fatto che, come riportato dal Presidente INAIL, Franco Bettoni, in un’intervista rilasciata recentemente e ribadita in un comunicato di venerdì, “la denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail. L’Istituto, ai fini della tutela infortunistica, deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere ad una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa della infezione – e anche laddove vi fossero dei casi di positività – il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’evento del contagio per motivi professionali non costituisce presupposto per l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”.
E’ evidente finalmente che non esistono aziende più sicure o meno sicure sulla base di aver fornito o meno ai Sindacati una copia del proprio protocollo di sicurezza. Esistono solo aziende che hanno ripreso l’attività, mettendo in pratica il protocollo di sicurezza sottoscritto a livello nazionale, e altre che non ripartiranno, schiacciate per dimensione o per tipologia di business dalla burocrazia e dall’impossibilità di mantenere operativa e soprattutto sostenibile economicamente la propria attività alla luce delle prescrizioni e restrizioni.
Se Regione Marche e organizzazioni sindacali vogliono essere incisivi nella sicurezza di tutti i lavoratori, e non solo del personale sanitario o delle forze dell’ordine giustamente più esposti, potrebbero bene preoccuparsi di farsi carico dei test sierologici che invece sono rimasti nelle more degli imprenditori.
Lo stesso Ministro Patuanelli oggi ribadisce “E’ giusto che le imprese mettano in sicurezza i propri dipendenti, ma questo è il massimo che possiamo chiedere”richiamando ad un principio di unità su base nazionale circa le modalità con cui “Governo e Parlamento dovranno occuparsi di questo tema”.
Ci spiace se il nostro diniego a sottoscrivere un inutile protocollo offenda taluni, distratti o conniventi, ma siamo noi a ritenere offensivo questo ennesimo affronto portato alla nostra categoria da parte della pubblica amministrazione su istanza dei sindacati, perché dimostra una malevolenza aprioristica e ingiustificabile che richiama ai più banali luoghi comuni quali l’analogia tra libera imprenditoria ed evasione o elusione delle norme, senza però mai prendere in debita considerazione gli imprenditori che si stanno suicidando, i milioni di italiani che affondano perché la macchina burocratica non è in grado ancora di erogare nei tempi previsti i sussidi emergenziali, e più in generale verso tutti i miei colleghi che sono già chiusi o chiuderanno per causa della elefantiaca burocrazia di una Pubblica Amministrazione che pretende senza mettersi mai nei suoi panni e soprattutto che richiede a noi ciò che spesso non è in grado di garantire per sé stessa.