Quando un dipendente può chiedere il trasferimento per ricongiungersi alla famiglia? La legge parla chiaro

Quali sono i casi in cui un lavoratore può chiedere il trasferimento per ricongiungersi alla famiglia? La risposta arriva dalla legge.

Ci sono situazioni lavorative che portano il dipendente a molti chilometri da casa. E la lontananza aumenta inevitabilmente il desiderio di trasferimento per ricongiungersi alla propria famiglia. Tuttavia, per quanto sia lecita la richiesta del dipendente, questa potrebbe essere rifiutata dal datore di lavoro.

Quando si può chiedere un trasferimento al lavoro
La legge stabilisce i termini che consentono ad un dipendente di chiedere il trasferimento – (Ascoli.cityrumors.it)

Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, la procedura per la domanda di trasferimento è più complessa. Non si può infatti effettuare una libera richiesta all’amministrazione di impiego, perché in prima battuta è necessario che sia avvenuta la pubblicazione del relativo bando per la mobilità. Solo in quel momento si può procedere alla domanda, con la quale otterranno il trasferimento coloro che rientrano nelle prime posizioni utili.

Sono, però, presenti specifici casi in cui i dipendenti pubblici possono procedere liberamente alla richiesta di trasferimento. Il primo si riferisce alle Forze Armate e di Polizia, mentre il secondo e il terzo sono descritti dal D.lgs 151/2001 e dalla Legge 140/1992.

Quali casi consentono ad un dipendente di ottenere il trasferimento per ricongiungersi alla famiglia

Il Testo Unico in materia di sostegno alla maternità e alla paternità, all’articolo 42 bis, sancisce che il dipendente pubblico – se genitore di figli minori con età di non oltre i 3 anni – può chiedere l’assegnazione ad un’altra sede di servizio presente nella stessa provincia o regione in cui il coniuge svolge la propria professione.

I casi in cui è previsto il trasferimento del dipendente pubblico
In quali situazioni un dipendente può ricongiungersi alla famiglia – (Ascoli.cityrumors.it)

Il riavvicinamento a quest’ultimo e al figlio non è definitivo, ad ogni modo, perché (come riporta l’articolo 42 bis) l’assegnazione non può superare i tre anni, un periodo che potrebbe anche essere suddiviso nel tempo. Ragion per cui non si tratta di un trasferimento nel senso pieno della parola, ma di un’assegnazione temporanea. Inoltre, questo processo avviene solo in presenza di specifiche condizioni: un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e l’assenso delle amministrazioni coinvolte.

Tale normativa potrebbe essere modificata, perché la sentenza n. 99 del 2024 della Corte Costituzionale ha riconosciuto l’illegittimità dell’articolo 42 bis, comma 1, del D.lgs 151 del 2001 nella parte che sancisce che il trasferimento deve verificarsi presso la sede di servizio in cui l’altro genitore svolge la sua attività. Per la Consulta, il trasferimento temporaneo può verificarsi anche presso la regione o la provincia in cui c’è la residenza familiare.

Nelle agevolazioni previste dalle legge 104/1992 è presente, inoltre, quella che permette al dipendente pubblico di ottenere il trasferimento se deve assistere un familiare disabile grave. Stesso discorso vale per il lavoratore invalido, il quale può fare richiesta nella sede più vicina al proprio domicilio. In entrambi i casi, però, non è possibile ottenere il trasferimento in una sede in cui l’organico è completo.

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