I contributi mancanti sono una piaga che colpisce molti lavoratori. Ma adesso è possibile sanare anche quelli prescritti.
Il problema dei contributi mancanti è una realtà che coinvolge molti lavoratori, sia dipendenti che autonomi, e può avere gravi ripercussioni sul futuro pensionistico. Quando i contributi previdenziali non vengono versati correttamente, si rischia di compromettere il diritto a una pensione adeguata e di fronteggiare incertezze economiche nella fase di riposo della vita. Vista la complessità della materia, sul punto si è dovuta pronunciare anche la Cassazione.
I contributi previdenziali sono somme di denaro che i datori di lavoro (per i dipendenti) o i lavoratori stessi (per gli autonomi) devono versare agli enti previdenziali, come l’INPS in Italia, per garantire il diritto alla pensione e ad altre prestazioni sociali. Quando questi contributi non vengono versati regolarmente, si parla di contributi mancanti. Le ragioni possono essere molteplici, tra cui errori amministrativi, difficoltà economiche del datore di lavoro o, in alcuni casi, vera e propria evasione contributiva.
Ogni anno di contributi mancanti riduce l’importo della pensione futura, poiché la pensione si calcola in base ai contributi effettivamente versati. Oltre alla pensione, anche altre prestazioni come l’indennità di disoccupazione, malattia e maternità possono essere influenzate dalla mancanza di contributi.
Contributi mancanti: interviene la Cassazione
È fondamentale per ogni lavoratore tenere sotto controllo la propria situazione contributiva. In Italia, questo può essere fatto tramite il servizio online dell’INPS, accedendo al proprio estratto conto contributivo. Questo documento riporta tutti i contributi versati nel corso della carriera lavorativa e permette di individuare eventuali periodi mancanti. E oggi, alla luce delle sentenze di cui vi parleremo di qui a breve, sappiamo anche qualcosa in più.
Proprio in questi primi sei mesi del 2024, la Cassazione ha emesso due pronunce significative riguardanti la possibilità per i lavoratori di richiedere all’INPS il versamento dei contributi previdenziali non effettuati dal datore di lavoro in passato. Le sentenze, numerate come n. 12833 e n. 13229, pongono l’attenzione su questioni cruciali riguardanti la previdenza sociale e i diritti dei lavoratori.
La sentenza n. 12833 si è concentrata sulla richiesta di un dipendente di recuperare i contributi relativi a un lavoro svolto tra il 1970 e il 1972, ormai prescritti e non versati per 16 settimane. La Corte ha stabilito che, per attivare la costituzione di una rendita vitalizia, è sufficiente provare all’INPS, tramite documenti a data certa, l’effettiva esistenza e durata del rapporto di lavoro. Non è necessario ulteriormente provare il concreto svolgimento dell’attività lavorativa.
Con l’ordinanza interlocutoria n. 13229, invece, si è riaperto il dibattito sull’applicabilità del termine di prescrizione decennale alla domanda di rendita da parte del lavoratore. La Cassazione ha riconosciuto un orientamento contrastato su questo punto e ha indicato la necessità di una “rimeditazione” sulla questione.
Queste pronunce della Cassazione rappresentano un passo significativo per i lavoratori che si trovano nella situazione di dover reclamare contributi previdenziali non versati dai datori di lavoro. La possibilità di richiedere la costituzione di una rendita vitalizia senza dover provare dettagliatamente l’attività lavorativa svolta offre una maggiore tutela ai lavoratori, soprattutto in casi in cui il lavoro sia stato svolto molti anni prima e la documentazione potrebbe essere limitata.