Non sempre il dolore ci rende persone migliori: a volte il trauma è una questione di consapevolezza

La questione non sta nel fatto che il dolore vada superato, quanto capire piuttosto che si ha di fronte un’importante opportunità di vita. Come viverla.

La materia è di quelle con cui la psicologia si è alimentata per svariati lustri per capire che percorso hanno intrapreso le società e come si trasformano le emozioni personali nell’ottica dell’interazione collettiva. D’altro canto, il dolore rappresenta la tematica millenaria sulla quale poggiano le filosofie orientali, Buddhismo in primis.

dolore consapevolezza e miglioramento personale
Il dolore insegna davvero qualcosa? (ascolicityrumors.it)

A volte, si tende a ridurre nei termini il dolore quasi a un vezzo del cuore; anzi, ad un inevitabile circolo vizioso dell’umano quando si è rotto il fragile patto con una prolungata circostanza di benessere; in quest’ultima va inclusa ovviamente un appagante rapporto sentimentale o amicale con una persona che, quando termina, non lascia che un vuoto composto dall’impalpabile ma pesante materia di sofferenza.

Il dolore non rende migliori: da dove ripartire?

In fondo, non basteranno anni ed anni di counseling psicologici per sciogliere la persona dalla responsabilità di affrontare faccia a faccia questo sentimento disturbante sorto altresì dalle ceneri di un obiettivo non raggiunto, da una meta esistenziale che resterà inesorabilmente all’orizzonte.

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Gli effetti dell’uscita da un lungo dolore (ascolicityrumors.it)

Non ci sono percorsi alternativi: occorre che il dolore venga attraversato finché non si scorge la famosa luce in fondo al tunnel. Sì, perché di fronte ad una supposta incolmabilità,  la forza della sofferenza è capace di non offrire alcuna tregua, ma come ogni fenomeno, una volta che ha avuto un inizio, ha anche una fine. Questa “fine” prende forma da una condotta premiante a cui bisogna sottoporre la persona “interiore” e la mente.

Il superamento del dolore, dopo un lungo training esistenziale, dovrebbe convertirsi in un rapporto rinnovato sotto il profilo emotivo. La lezione può essere appresa correttamente o meno; dunque no, non è vero che la sofferenza rende migliori; potrebbe, ma non è una sicurezza.

Lo è se si rinuncia all’attaccamento di un presunto fallimento e al sentimento di rivalsa verso i protagonisti della condizione (gli altri e sé stessi). Le modalità (non sempre efficaci) sono molteplici: dall’evitamento, a chi prende immediatamente di petto il problema, chi rimanda vita natural durante.

La chiave è nella consapevolezza che genera cambiamento. Spiega lo psicologo Andrea Blasoni (ripreso da Torcha, su Instagram) che in primo luogo la frustrazione per l’evento negativo impedisce al soggetto di vedere una via d’uscita (a volte per il resto della sua vita). Ciò succede come conseguenza dell’istinto al dominio, alla pretesa di lasciarsi tutto alle spalle.

La soggettività suggerisce anche un’altra strada: considerare nell’attimo che si vive che si è attraversato un passaggio complicato della propria vita. All’inizio, il mancato superamento è dovuto che nel cervello avviene una sorta di corto circuito neurobiologico: l’accaduto risulta vincente sulla capacità di elaborazione del cervello. Solo l’atto di prendersi del tempo per un’analisi (compresa quella con un professionista) rinnova una consapevolezza al punto da generare cambiamento nei tratti iniziali del dolore. E dalla circostanza, si avvia un percorso di scoperta identitaria.

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