La ricerca sull’Alzheimer non si ferma ed è emersa un’interessante associazione della patologia con problemi della vista: ecco di cosa si tratta.
La memoria è fatta da un susseguirsi di ricordi che ci dicono chi siamo. Per questo, la malattia di Alzheimer priva tante persone, non sempre durante la terza età, della propria identità, delle loro convinzioni più intime e dei loro riferimenti.
Molti studi ci hanno aiutato a capire come funzioni questa terrificante patologia, i meccanismi alla base, come si sviluppano e quali sono gli esiti, ma ancora una vera e propria cura non esiste, sperando che la scienza presto possa dare delle risposte anche in tal senso. E proprio dalla ricerca è arrivata la certezza di un’associazione molto interessante, e che potrebbe essere usata anche a fini preventivi o prognostici, con le patologie oculistiche.
Un gruppo di lavoro internazionale guidato dall’Università della California, San Francisco (UCSF), si è concentrato proprio su quest’aspetto e ha preso in esame i problemi della vista che potrebbero rappresentare i primi segni di insorgenza dell’Alzheimer. La scoperta è stata, per certi versi, sconcertante: il 94% dei pazienti aveva gli stessi identici disturbi, un’associazione che quindi non poteva essere casuale. Il restante 6%, invece, ha evidenziato lo sviluppo di corpi di Lewy e la degenerazione lobare frontotemporale. In particolare, lo studio – che è stato pubblicato su Lancet Neurology – ha riguardato 1092 persone da sedici diversi Paesi del mondo e ha dimostrato che l’atrofia corticale posteriore predice in maniera piuttosto sicura l’insorgenza dell’Alzheimer.
Cos’è l’atrofia corticale posteriore e perché riguarda l’Alzheimer
La PCA – così si indica l’atrofia corticale posteriore – è una patologia che incide sulla percezione visiva a più livelli: può essere difficile valutare le distanze, quali oggetti siano in movimento e quali no. In generale, si ha un’interruzione progressiva dell’elaborazione complessa.
È chiamata anche Sindrome di Benson e ora è considerata a tutti gli effetti una variante atipica dell’Alzheimer. Gli studiosi hanno ammesso che i pazienti con PCA potrebbero essere curati con trattamenti anti-amiloide, gli stessi che vengono utilizzati anche nelle prime fasi della malattia di Alzheimer.
Questo implica la presenza di placche amiloidi e tau dannose, ma situate soprattutto nelle parti posteriori del cervello. La vera differenza è che la memoria non è influenzata, almeno in un primo momento, dato che riguarda perlopiù le percezioni e l’elaborazione visiva. È chiaro che la ricerca andrà avanti per definire in maniera sempre più chiara l’associazione e anche per una cura che è il vero obiettivo quando si parla di Alzheimer.