Lasciare il lavoro prima degli altri può essere un desiderio comune se ci si sente ormai stanchi e non si è efficienti come un tempo, ecco come fare.
Il lavoro è certamente importante ed è quello che ci garantisce il benessere nostro e della nostra famiglia, ma sono in tanti a sostenere quanto sia importante questo non influisca in modo negativo sulla qualità della vita. Essere disponibile con un capo se dovesse avere bisogno di prestare servizio per qualche ora in più questo può essere naturale, magari con la speranza di essere poi tenuti in considerazione in modo positivo in un secondo momento, ma è altrettanto importante evitare che questo influisca in modo negativo sul benessere personale.
A lungo andare infatti si può essere inevitabilmente meno efficienti, a maggior ragione se dovessero presentarsi patologie croniche che possono emergere soprattutot con il passare degli anni. È proprio per questo che c’è chi può prendere in considerazione l’idea di lasciare il lavoro in anticipo, il tutto ovviamente in modo legale.
Lasciare il lavoro in anticipo è possibile
Le norme attualmente in vigore consentono di lasciare il lavoro in anticipo nel pieno rispetto delle leggi, anche se inevitabilmente si teme di doverci rimettere sul piano economico. Questo può essere certamente vero, per questo molti possono valutare i pro e i contro della situazione e decidere cosa sia meglio fare.
Anzi, sono in tanti ad agire in questo modo ben sapendo come si sia innalzata l’età pensionabile, ma di arrivare a quel momento stanchi e avere così il desiderio di dedicarsi a se stessi e alla propria famiglia. La regola generale al momento prevede di avere 67 anni e almeno 20 anni di contributi versati, è comunque possibile farlo anche prima attraverso alcune specifiche misure.
Tanti scelgono di sfruttare l’Ape Sociale, indennità pensata per alcune categorie così da avvicinarli all’età della pensione. È però necessario essere in possesso di alcuni requisiti ben precisi:
- invalidità con riduzione della capacità lavorativa almeno pari al 74%; anzianità contributiva di almeno 30 anni;
- assistere un coniuge, parente di 1° grado convivente con handicap in situazione di gravità, o parente o affine di 2° grado convivente se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità hanno compiuto 70 anni o sono anch’essi affetti da patologie invalidanti o sono deceduti o mancanti; anzianità contributiva di almeno 30 anni da almeno sei mesi;
- essere in stato di disoccupazione e avere maturato almeno 30 anni di contributi;
- svolgimento da almeno 7 anni negli ultimi 10 o almeno 6 anni negli ultimi 7 di attività per le quali è richiesto un impegno difficoltoso e rischioso; anzianità contributiva di almeno 36 anni, ridotti a 35 per le donne con un figlio e a 34 con due o più figli.
In questo caso non si ha diritto a più di 1.500 euro al mese, che saranno percepiti fino a che si arriverà all’età della pensione.
Altrettanto valida può essere la Rita, come viene definita la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, così da integrare il reddito in attesa della pensione. A farne richiesta sono i lavoratori inoccupati per più di 24 mesi e maturano l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i 10 anni successivi. Si tratta di una soluzione vantaggiosa per chi ha bisogno di integrare il proprio reddito in attesa della pensione di vecchiaia vera e propria.